TESTA DI MAIALE
di Giuseppe Zen
Mangiari di strada

“Testa di maiale affumicata.”
Troviamo lo chef Giuseppe Zen ad aspettarci nel giardino del suo ristorante, mentre sistema le piantine di aromi che sono sparse ovunque e diffondono profumi incredibili.
Le cerco, le raccolgo, le coltivo e le uso tutte! Richiedono un sacco di tempo ma ne vale la pena: mi piace la materia prima naturale e spontanea.
Dice, venendoci incontro con un bel sorriso gentile, mentre ci fa strada all’interno del ristorante.
Il locale è molto diverso da come ce lo aspettavamo. Avremmo immaginato una sorta di trattoria e invece ci troviamo in un mondo dove dialogano due parti molto diverse fra loro: da un lato grandi vetrate e bellissimi tavoli in marmo e ferro battuto corredati di sedie e luci dal design ricercato. Dall’altro una parete di lavagna nera, aperta da una feritoia da cui si intravede la cucina e su cui è scritto il ricchissimo menu. O meglio una parte del menu, perché poi ci sono anche foglietti appesi ovunque con i piatti speciali del giorno. Lungo tutta la parete scorre un bancone che fa sembrare quest’area un vero e proprio stand di cibo di strada all’interno di un mercato coperto. È un posto magnifico.
Mangiari di strada non ha nessuna insegna perché credo nel passaparola positivo più che nella comunicazione pianificata e, visto che siamo qui da vent’anni, significa che ci stiamo muovendo bene.
Come prima cosa ci offre un caffè dal quale parte per raccontarci del suo enorme lavoro di scelta delle materie prime e dei rapporti costruiti negli anni con la costellazione di produttori dai quali decide di servirsi.
Quello di Gianni Frasi è il Caffè per eccellenza. Lo dico senza peccare di arroganza dato che non lo faccio io. Sul bancone ho messo un cartello che recita: “NON MACCHIAMO IL CAFFÈ”. Perché sarebbe un delitto inquinarne il sapore. Per prepararlo uso una macchina degli anni sessanta che è considerata la Rolls Royce del settore. Non è di quelle che hanno mille funzioni: fa il caffè e basta, quindi non puoi barare.
Pian piano veniamo a sapere che ogni alimento che viene servito qui ha una sua storia e Giuseppe, che è un narratore nato, ce le racconta una dopo l’altra con molta precisione e ironia.
Una delle nostre preferite è quella dell’Uovodiselva, un uovo biologico prodotto in Valtellina, nella Valle del Bitto in un bosco di castagni a 600 metri di altitudine dove le galline vivono libere e i fattori girano per i boschi raccogliendo le uova lasciate in giro spontaneamente.
La ricerca per me è fondamentale. Da vent’anni ho scelto di tenere aperto solo a pranzo: da mezzogiorno alle tre. In questo modo, intorno all’orario di chiusura posso prendere una macchina, un treno o un aereo e andare a vedere una mucca o del vino.
C’è anche una storia legata a ciò che vuole presentare oggi a Sublime. Eravamo state avvisate che aveva in mente qualcosa di un po’ particolare ma non ci aspettavamo di rivederlo comparire con in mano un’intera testa di porcellino perfettamente conservata dall’affumicatura.
La testa di maiale abitualmente la servo arrostita.
Ci spiega, posandola sul bancone.
La porto a tavola e la vado a porzionare: servo il muso, la guancia, la lingua, il cervello e anche gli occhi e le orecchie. Oggi però non voglio parlare della bestia come piatto ma come creatura vivente.
Ci racconta di avere sviluppato, negli anni, una filosofia etica molto precisa riguardo al consumo della carne e alla macellazione degli animali. Il tutto parte dal presupposto che sono creature viventi e sensibili di cui noi scegliamo di nutrirci per nostro piacere. Per questo motivo è imprescindibile garantire all’animale una vita ed una morte dignitose e il meno dolorose possibile.
Qui vendiamo esclusivamente carne di pascolo classificata come “Grass Fed”. Non si può aguzzinare un animale per tutta la sua vita nutrendolo con cibo che non è il suo. Negli allevamenti che scelgo, l’animale vive libero e in natura fino al momento della macellazione. Non esistono catene o macchinari per il nutrimento forzato. Da tempo seguo anche l’esperimento del “Macello viaggiante”, creato dall’università di Pisa: gli animali vengono uccisi direttamente nel pascolo e non si accorgono di nulla. Se potessi sceglierei sempre questo metodo.
Ci spiega che, dato che la carne è un alimento da consumare in piccole quantità, si può tranquillamente scegliere di spendere un po’ di più per un taglio proveniente da un animale allevato con cura e risparmiare dal fatto di acquistarla con meno frequenza. Una scelta che lui promuove sia per questioni legate alla salute che a rispetto per gli esseri viventi.
Da un paio d’anni porto in giro una mia installazione che si chiama “Teste e minchia”. L’installazione nasce per celebrare l’animale che è stato tolto alla sua mamma e macellato per noi e per raccontare che le bestie non nascono in una vaschetta del supermercato. Io onoro il loro sacrificio utilizzandone ogni parte e non sprecando nulla. Tutto deve essere cucinato al meglio e va mangiato con grande godimento.
Per me è molto importante raccontare questa storia.
La divulgazione sulle materie prime ed il racconto della loro storia è uno dei punti principali del lavoro di Giuseppe Zen che, oltre al ristorante, da molti anni gestisce anche tre banchi al mercato coperto in Darsena. C’è la “Macelleria Popolare”, la “(R)Esistenza Casearia” e il “Panificio Italiano” a cui presto si aggiungerà il pastificio “Tagliatella”. In tutti questi posti è possibile fare la spesa o farsi cucinare sul posto alimenti scelti direttamente dal bancone che diventa una specie di “dispensa a vista”.
Dove meglio che in un mercato puoi parlare di cibo? Ultimamente i mercati si sono trasformati, diventando dei succedanei della grande distribuzione. Soprattutto quelli comunali di Milano che in passato hanno avuto una certa gloria e nascevano come supporto alle fasce meno abbienti. Oggi questa esigenza non c’è più perché è ampiamente soddisfatta dai discount. Per noi il mercato deve essere l’interfaccia tra il più grande artigianato esistente in Italia (grandi carni, grandi formaggi, verdura naturale) e il consumatore finale. Dato che carne e formaggio non devono essere troppo protagonisti delle nostra alimentazione noi puntiamo su un consumo più esperienziale che quantitativo.