di Diego Rossi
Trippa

“Moretta veneta alla brace generalmente
abbinata a polenta e verza bruciata“
Lo Chef Diego Rossi, già per telefono, risulta energico ed estremamente preciso nel suo modo di comunicare rapido e informale. Ci piace subito. Dopo essersi fatto raccontare il nostro progetto, stabilisce in quattro e quattr’otto di voler fare qualcosa di diverso: qualcosa che non sia un piatto e che nemmeno venga presentato in un piatto.
In un’intervista pare che abbia detto: “Ho aperto Trippa perché non sapevo dove andare a mangiare. Era quello di cui avevo bisogno io”. Che sia vero o no, tutto in questo ristorante parla di una volontà e di un carattere molto forti. A partire dagli arredi per arrivare chiaramente al menu che si costruisce in buona parte attorno alla riscoperta di cibi tradizionali.
Ad esempio la tartare di montone che pochissime persone conoscono. Si tratta di alimenti che voglio servire al naturale perché nessuno ne conosce il sapore. Posso sistemare un piatto, ovvero prepararlo con tecniche più moderne ma non mi interessa rivisitarlo. C’è una bella differenza.
Tra qualche anno, quando questi cibi saranno più conosciuti, forse avrà senso rinnovarli con variazioni e abbinamenti ma non è ancora arrivato il momento.
Mentre lo aspettiamo ci perdiamo a guardare i quadretti di cui sono disseminate le pareti: vecchie fotografie di famiglia, etichette del Vermouth. Scatole di latta colorate che una volta contenevano cioccolatini, vetrinette con dentro i “servizi buoni” di bicchieri dal bordo dorato.
Tutto quello che c’è qui dentro, dalle bilance alle piccole TV colorate degli anni sessanta, ricorda le case dei nonni. Soprattutto a chi ha avuto nonni cresciuti in campagna dove c’erano le fattorie e, quando si macellava il maiale, anche i bambini venivano messi a riempire i budelli per fare le salsicce. In quel caso, appena entrato in questo posto, dimentichi di essere a Milano e ti senti a casa.
All’appuntamento arriva un po’ in ritardo portandosi dietro due cinghiali appena abbattuti avvolti in teli impermeabili e scusandosi con noi.
Quando uccidono le bestie mi chiamano e io devo andarle a prendere subito. Spesso senza preavviso. Non posso fare altrimenti: non devono assolutamente essere sprecate.
I tagli li fa lui ed è noto per non buttare via nulla. Ogni parte può essere cucinata e utilizzata.
A me interessa molto la forma del cibo. Rispetto profondamente la sua struttura naturale e non mi interessa dargliene una artefatta modificando o sofisticando. La forma porta con sé le caratteristiche organolettiche dell’ingrediente e dunque anche il suo sapore: meno viene modificata, più è in grado di restituirti il gusto naturale.
Nel frattempo ha già dato indicazioni per fare preparare ciò che vuole raccontarci: una Moretta Veneta semplicemente passata alla griglia. Indossa la sua tenuta da chef, che poi è un grembiule, infilza la salsiccia con una forchetta e la “mette in posa” per lo shooting.
È una scelta curiosa dato che si tratta di un ingrediente più che un piatto. Ma ci spiega che il suo modo di essere chef consiste precisamente in questo: recuperare e ricreare preparazioni tradizionali che sono andate perdute nel tempo, attraverso una conoscenza teorica e pratica degli alimenti molto approfondita.
Siamo a Dicembre, il periodo in cui nel Nord Italia si macella il maiale. Da dove arrivo io, la zona del veronese, la Moretta è uno dei prodotti della macellazione che in genere non viene più preparato. Prende il nome dal suo colore scuro e si fa con del macinato di carne di maiale, guanciale e altre parti ricche di grasso, mischiato a cuore e sangue.
L’idea di cucina di Diego Rossi non è la strada gourmet ma quella, per l’appunto, della trippa, che in dialetto significa precisamente sostanza e concretezza. Per questo il suo piatto viene presentato così.
Non c’è bisogno di abbellirla o creare abbinamenti: è già di per sé un ottimo alimento e una grandissima riscoperta.
Concreto è anche il suo modo di lavorare: finiti gli scatti ci dice di seguirlo in cucina dove ci racconta le ultime cose mentre rimesta in un pentolone gigantesco e da indicazioni agli altri cuochi che, nel frattempo, si destreggiano tra casse di polli da spennare e carni da tagliare.
Ha gli occhi ovunque eppure il suo discorso fila via liscio e preciso, senza mai perdere il filo.
Nella creazione dei piatti non parto mai da idee rigide o progetti astratti: aggiungo o tolgo cibi dal menu a seconda degli ingredienti che ho o che mi ispirano. A dire il vero non uso nemmeno un menu: qui abbiamo una carta.
Credo che ognuno debba poter scegliere cosa mangiare senza percorsi e abbinamenti stabiliti dallo chef. Io devo sentirmi libero di proporre e desidero che i clienti si sentano liberi di scegliere.
Tra i manifesti appesi alle pareti ne spicca uno, illustrato da Gianluca Biscalchin. È il manifesto di INTERNI, un collettivo di cinque ristoranti milanesi che promuovono la conoscenza e l’utilizzo del cosiddetto Quinto Quarto, ovvero le frattaglie, di cui Trippa fa parte.
Il nome del progetto richiama ironicamente il circuito del Salone del Mobile in occasione del quale è nato ma anche la materia a cui si dedica, come recita la loro presentazione:
Siamo quelli che amano l’interiorità, quello che c’è dentro, nel profondo. Abbiamo cuore e abbiamo fegato, abbiamo polmoni e lingue, intestini e trippe, abbiamo un’animella e anche le palle. Di toro. Quello in cui crediamo te lo doniamo. Nel piatto. Ti faremo scoprire che la vita è dentro, nelle interiora.
I ristoranti coinvolti sono: Trippa, Erba Brusca, Pasta Madre, Ratanà e Taglio. L’obiettivo è quello di promuovere e recuperare un filone del gusto ormai poco diffuso e suggerire alla gente una rete di cuochi che amano il reciproco lavoro:
Siamo organi di uno stesso corpo. Se ami mangiare ti mandiamo da quelli dove amiamo mangiare anche noi.
Talvolta i membri del collettivo o altri chef che condividono gli stessi principi e criteri etici di cucina, vengono invitati a cucinare da Trippa.
Si tratta di serate speciali e totalmente estemporanee in cui i piatti dell’ospite costituiscono il “fuori carta” lasciando, anche in questo caso, i clienti liberi di muoversi come preferiscono tra i piatti proposti.
Non c’è stato tempo di assaggiare la Moretta perché l’ora del servizio era troppo vicina ma Trippa è sicuramente un posto dove torneremo perché ci ha lasciato una grande curiosità. E ci porteremo anche un sacco di amici; è esattamente quello che ti vien voglia di fare in un ristorante come questo.