SUBLIME:
RICETTE IN #CIBOGRAFICA

Le opere di quaranta grandi chef raccontate in illustrazioni

DIVISIONISMO IN CUCINA: RISOTTO EXPONENZIALE

di Daniel Canzian
Daniel Canzian Ristorante

Sublime food design piatti Daniel Canzian

Risotto arricchito con paprika, curry e tè nero affumicato

Il Ristorante Daniel Canzian si trova nel cuore di Milano, affacciato su quella parte di Via San Marco dove il canale scoperto è stato trasformato in un giardino fiorito. È collocato all’interno della palazzina della SIE (Società Impianti Elettrici) che, alla fine degli anni ‘70, ospitò l’esperimento artistico-culturale di Macondo. Un luogo passato alla storia perché per circa quattro mesi ospitò, nel centro della Milano più borghese, un formidabile movimento di arte, cultura e discussione politica e fu un importante punto di aggregazione per la cultura beat, con ospiti del calibro di Allen Ginsberg.

Ovviamente questa storia non ha nulla a che fare con il ristorante aperto dallo chef Daniel Canzian nel 2013, dopo aver lavorato per molti anni come Executive del Marchesino. È Tuttavia curioso come, in questa sua nuova veste completamente diversa, il luogo sembri comunque portare avanti i due temi che lo hanno storicamente contraddistinto: l’amore per arte e cultura e la forte connessione con il territorio.

Il locale ha un’eleganza leggera non impostata ma sentita e organica, come fosse l’anima del posto stesso. Appese ai muri e disseminate nelle nicchie delle finestre ci sono tante opere d’arte, quasi tutte di impronta astrattista e contemporanea. Alcune sono esposte temporaneamente e provengono dalla collaborazione con la Galleria Antonio Colombo.

Altre invece sono pezzi a cui lo chef si è particolarmente affezionato, come per esempio i due mezzi busti di Simon and Garfunkel che troneggiano proprio davanti alla postazione di lavoro.

Sono i miei santini. Mi osservano mentre lavoro e non li sposto mai da lì.

Lo chef ci accoglie da dietro al bancone della sua cucina che, come una penisola, si immerge all’interno della sala offrendo una visione completa di ciò che accade ai fornelli. Ci sediamo sugli sgabelli alti collocati lungo tutto il perimetro e, senza bisogno che facciamo domande, Daniel comincia a raccontarci la sua storia e il suo pensiero partendo proprio dalla forma che ha voluto dare al locale.

Uno dei miei principi fondamentali è la trasparenza: si deve vedere bene quello che c’è nel piatto. Mi infastidiscono le sofisticazioni e penso che non dovrebbe essere necessario avere un libretto di istruzioni per capire cosa si sta mangiando. La trasparenza che metto nelle mie preparazioni è la stessa che ho voluto dimostrare dando una forma così aperta ed esposta alla mia cucina.

Mancano pochi giorni a Natale, due cuochi stanno preparando meticolosamente decine di ravioli e nella sala sono sparse ovunque delle bellissime mele dorate. C’è un’atmosfera di fermento ma allo stesso tempo di calma: le preparazioni culinarie procedono contemporaneamente alla pulizia della sala e all’apparecchiatura dei tavoli. Rapidamente e in silenzio, come in una macchina ben oliata.

Posati sugli scaffali ci sono tante piccole forme del panettone “Omaggio a Milano”, il famoso dolce che Daniel Canzian ha voluto dedicare alla città combinando questa ricetta tipicamente Milanese ad un altro piatto tradizionale: il riso allo zafferano. Un perfetto esempio di due dei grandi criteri con cui lo chef costruisce e caratterizza la propria cucina: l’unione tra tradizione e innovazione (da cui il sottotitolo “cucina italiana contemporanea” posto sull’insegna del ristorante) e la forte territorialità delle sue proposte.

Tutto parte dalle materie prime: non c’è un buon menù se non c’è una buona spesa. La mia visione è legata alla forma della materia e alla semplicità: più alta è la qualità dei prodotti e meno vanno elaborati.

La qualità ottimale, ci spiega, si trova spesso presso piccoli produttori in grado di fornire quantità limitate di materie prime e rifornimenti strettamente legati alla stagionalità e alle condizioni territoriali.

Ci dobbiamo adattare a quello che troviamo e così anche il nostro menu. Sto studiando una carta essenziale, con diciture molto scarne come: “Galletto alle arachidi” o “Branzino al vapore”. Non vogliamo più dare troppe indicazioni: per noi il cambio di ortaggi e guarnizioni è repentino e continuo. Sono fermamente convinto che sia il menu a doversi adeguare alla spesa e non viceversa.

Chef Daniel parla in modo deciso e veloce: i punti del suo discorso sono chiarissimi e ben connessi fra loro. Allo stesso tempo però è sempre molto gentile e ben disposto ad ascoltare le nostre domande: si capisce chiaramente che non sta recitando un manifesto ma che desidera far capire bene il suo punto di vista. Ci trasmette una visione progettuale organica e solida perché costruita su fondamenta molto concrete.

In un momento storico in cui la gente viene bombardata dalla comunicazione sul cibo, noi cuochi ci troviamo davanti un pubblico molto più “informato” ma non necessariamente “formato”. Il nostro compito quindi è proprio quello di educare al gusto partendo dalle basi. Essere rivoluzionari significa sapere dove vuoi andare e avere contemporaneamente la capacità di accompagnare le persone che desiderano seguirti.
Credo nella contestualizzazione contemporanea del territorio: nel mio menù ci sono la cotoletta alla milanese, il panettone e l’ossobuco con risotto. Gli ingredienti che non fanno parte della tradizione servono ad enfatizzare il piatto, non a stravolgerlo. Sono convinto che la nuova frontiera sarà il ritorno alla regionalità: troppe contaminazioni tra cucine diverse creano più omologazione che innovazione.

Mentre cuoce il riso ci facciamo raccontare il piatto che ha scelto di presentarci oggi: Divisionismo in cucina, Risotto exponenziale. Chiamato così per due motivi: perché si rifà all’opera divisionista del Boccioni (La città che sale) e perché si tratta di un piatto pensato in occasione dell’Expo di Milano. Per questa ricetta Villeroy ha addirittura creato un piatto apposito che riprende la texture del gioco di spezie.

Questo piatto rappresenta perfettamente Expo perché alla base c’è il riso, il cereale più consumato del mondo che accomuna tutte le culture. La cottura a risotto è prettamente Veneto-Lombarda e rappresenta l’italianità. Si tratta quindi una metafora dell’Italia, il risotto, che ospita le altre culture, ovvero le spezie: la paprica per l’occidente, il curry mediorientale ed il té nero affumicato che viene dall’estremo oriente.

Non è la prima volta che chef Canzian gioca affiancando i suoi piatti a delle opere d’arte, è per esempio il caso della “Sfera Arnaldo Pomodoro”, una sfera di cioccolato con quinoa e zafferano su cui viene versata una salsa di passion fruit che va a scioglierne la parte esterna.

Tuttavia la ripresa di alcune forme non è applicata solo sulla base dell’imitazione ma c’è sempre dietro un pensiero e un’interpretazione.

Io eliminerei la parola “creatività” e la sostituirei con “curiosità” perché quello è il vero motore della nostra mente. La forma del cibo è data innanzitutto dal rispetto per la materia prima di cui bisogna avere una profonda conoscenza. Su questa base si intrecciano esperienze e curiosità individuali per arrivare poi alla creazione. Ci sono dei passaggi logici necessari da fare per arrivare al confezionamento di un piatto: non esiste creatività se non si conosce perfettamente la tecnica.

Mentre finisce di preparare il risotto nel limbo che abbiamo predisposto, completa il discorso con una citazione del pittore Henri de Toulouse-Lautrec:
«In ogni arte e ciò vale anche per la cucina, la grande raffinatezza consiste nella sintesi e nella semplicità; evidentemente bisogna rifarsi alla tradizione, ma bisogna anche dimenticarla senza tuttavia tradirla per ignoranza, negligenza e per non volerne tenere conto. È così che si diventa dei cuochi senza pregiudizi, degli anarchici che nella confezione di un piatto rispettano esclusivamente la legge dell’equilibrio, imposta dalla natura».

Ci spiega infatti che il suo Maestro, Gualtiero Marchesi, gli ripeteva sempre: “Ricordati che io sono in grado di difendere a spada tratta qualsiasi piatto faccia.”
Intendendo dire che la tecnica ha una logica precisa che va sempre rispettata.

DANIEL CANZIAN

VIA SAN MARCO ANGOLO CASTELFIDARDO
MILANO

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