CAPRESE… DOLCE SALATO
di Andrea Aprea
Vun Andrea Aprea

“Spuma di mozzarella di bufala in sfera di isomalto
con coulis di pomodoro, emulsione di basilico, pomodori appassiti, mozzarella, acciughe e crostini di pane.”
Entrare al VUN Andrea Aprea di prima mattina è un’esperienza straniante: c’è un gran silenzio mentre la sala viene apparecchiata e sistemata. Ci troviamo in uno spazio raccolto e ovattato dall’illuminazione calda e delicata la cui eleganza discreta risulta molto confortevole e comunica un profondo senso di pace.
Aprea in un momento di transizione tra i suoi mille impegni e, davanti a un caffè, ci chiede di raccontargli bene in cosa consiste il nostro progetto.
Fa domande precise, senza perdere tempo e, sebbene molto gentile, inizialmente incute un po’ di soggezione. Si capisce che ha una volontà molto forte e poco tempo da perdere in cose che non gli interessano. Per nostra fortuna ci conferma che SUBLIME gli piace e, nonostante non avesse previsto di fare lo shooting il giorno stesso, va in cucina a chiedere di impostare il piatto che, su due piedi, ha deciso di presentarci.
Quando gli portano i vassoi con le preparazioni scorporate, inizia ad assemblare il piatto con gesti precisi e la stessa rapida determinazione di poco prima unite a una consapevolezza assoluta.
“Avete tre minuti per fare la foto: dopo la sfera inizierà ad afflosciarsi” ci dice, prima di mettere il piatto nel limbo e cominciare a raccontarcelo.
La mia cucina contemporanea guarda al futuro senza mai dimenticarsi delle sue origini. Questo piatto si chiama “Caprese… Dolce Salato” ed è il miglior esempio di questo dialogo tra parti.
Mozzarella, pomodoro e basilico appartengono da sempre alla nostra esperienza. Sono elementi e sapori antichi che trovano qui una diversa espressione di sé, proprio grazie alla tecnica: sorprendono nella visionaria composizione, confondono le attese e poi riconsegnano in un unico tratto sia le origini dei sapori che lo stupore di qualcosa mai vissuto prima.
Il piatto è in menu da sei anni e, come ci viene spiegato, incarna bene la filosofia del VUN Andrea Aprea che nasce per “raccontare storie di cucina italiana, pensate per sorprendere senza lasciare mai confusi”. Quello che lo chef vuole creare quindi è una forma di sorpresa che senza togliere nulla alla naturalezza dell’esperienza e mantenendo un filo conduttore tra tradizione e innovazione che non concepisce come direzioni contrapposte.
Ciò che noi chiamiamo “tradizione” altro non è che il presente dei nostri antenati. Un presente che ha saputo meritare attenzione durevole e ha superato la prova del tempo e delle mode diventando un presente assoluto. La contemporaneità è invece la capacità di interpretare lo spirito del proprio tempo, e costruire su di esso ipotesi di futuro.
Una volta rotto il ghiaccio, lo chef è estremamente ospitale e molto simpatico. Controlla con attenzione le foto e fa tante domande sul nostro lavoro. Poi porta dei cucchiai e ci invita a spaccare la sfera bianca e assaggiare il piatto “anche con le mani se volete, che tanto non si scandalizza nessuno” aggiunge. Ci racconta di avere fatto produrre personalmente i piatti usati per servire questa pietanza: sono studiati per fare sì che la sfera emerga per due terzi e l’insieme somigli a una mozzarella nella mozzarella.
Infatti quando arriva a tavola la gente si chiede perché ci sia un cucchiaio al posto di coltello e forchetta. Del resto se la mia idea fosse stata solo quella di mettere una mozzarella nel piatto non si spiegherebbe cosa sto qui a fare…
Proprio l’esperienza sta alla base della sua cucina e la radice va cercata nella scelta delle materie prime: in esse risiede la conoscenza dei territori e delle culture gastronomiche locali. L’unione tra la sensibilità per le tradizioni e l’accessibilità agli alimenti peculiari del nostro Paese, consente ad Aprea di portare nel piatto non solo sapori ma luoghi: per raccontare storie di altri paesaggi. Non per altro il nome stesso del ristorante “VUN Andrea Aprea”, che significa “Uno” in milanese, vuole rappresentare l’incontro e il contrasto tra la cultura napoletana e quella milanese che la sua cucina incarna.